Texts
05-13-2007
Declinazione della frontiera
Sono le note di uno straniato "Dies Irae" della Messa di Requiem di Verdi, trasfigurato dal quintetto di ottoni e dal canto spezzato dei quattordici solisti, e soprattutto il loro grido ed il battere assordante sulle tavole del palcoscenico durante un impossibile dibattito televisivo, a chiudere le cinque stazioni del nuovo lavoro di Lucia Ronchetti. Dichiarazione di disperata impotenza e climax di un'opera che parte da una meditazione sul confine e si sviluppa come raffinata riflessione filosofica sul paradosso del linguaggio come veicolo dell'espressione e suo limite. Programmaticamente politica, la composizione di Ronchetti sorprende e diverte piuttosto per il suo gioco leggero e sottile con i linguaggi musicali, per l'abile e teatralmente efficace gioco di citazioni (Verdi, ma anche il madrigalismo rinascimentale e persino Mahler) e per l'elaborata scrittura vocale, elemento chiave della sua produzione non soltanto teatrale. Steffi Hensel fornisce un libretto che stilisticamente riflette il carattere eterogeneo del tessuto musicale, ma risulta piuttosto irrisolto sul piano drammaturgico. E se paradossalmente i limiti del testo danno più forza al discorso musicale, la messa in scena ne soffre. Malgrado qualche momento felice - l'universo di schegge musicali che invadono la sala e dialogano individualmente col pubblico, ed il riuscito finale corale - la regia stenta a trovare un disegno organico ed un segno autonomo. Molto della riuscita dello spettacolo si deve agli affiatati interpreti, che (letteralmente) costruiscono lo spettacolo con e sulla loro fisicità oltre ad essere vocalmemte impeccabili. Il virtuoso quintetto di ottoni di musikFabrik e la competente regia dei suoni di Thomas Seelig concorrono a realizzare compiutamente la concezione musicale dell'opera.
Stefano Nardelli
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